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Sampdoria, Giampaolo: “Orgoglioso di raggiungere le 100 presenze. Ma se vado in città…”

Il curioso aneddoto del mister blucerchiato

Redazione ITASportPress

Prossimo al grande traguardo sulla panchina blucerchiata, il tecnico della Sampdoria Marco Giampaolo ha parlato ai microfoni de Il Secolo XIX delle 100 presenze, alla guida della squadra, che raggiungerà domenica nella sfida contro il Parma. Tanta gioia per questo importante record e tanti ricordi in questi quasi tre anni vissuti a stretto contatto con Genova e con i tifosi del Doria.

ORGOGLIO - "Cento partite per me sono un onore e motivo di orgoglio. Cento partite alla Sampdoria sono cento partite alla Sampdoria - rimarca mister Giampaolo - È un bel traguardo per me, che al massimo mi sono fermato due anni all’Ascoli. Un rapporto che va avanti da quasi tre anni e oggi è difficile resistere per tanto tempo nello stesso club. Guardo gli allenatori della Sampdoria che mi precedono in classifica e vedo che sto dietro ai grandi. Boskov è una leggenda, Novellino si identifica nella Sampdoria, a Eriksson che cosa gli vuoi dire?".

CURIOSITA' - "Qui sto bene, Genova mi piace. Anche se la conosco poco. Se vado in centro città mi perdo, ci sono stato una volta accompagnato da mia moglie. So che non è una bella cosa, ma il lavoro mi assorbe completamente. Mi piace il respiro dell’aria di Genova, la gente. Se ci vivrei, assolutamente sì".

RICORDO - "Il momento più bello di questi anni? Il primo derby, vinto 2 -1. Venivamo da una miniserie negativa. Quel pomeriggio la Gradinata Sud mi manifestò un affetto e una stima per me inaspettati. Senza che io avessi nei loro confronti nessun tipo di credito o di credibilità". E sul momento attuale e il futuro: "Se mi sono mai sentito a rischio? Sinceramente no. Ci sono stati momenti di difficoltà che fanno parte del gioco, però non ho mai pensato che mi dovessi giocare quella partita da ‘dentro o fuori’. Perché se arrivi a giocarla significa che sei già segnato. Già fuori".

SQUADRA - "Integralismo tattico? Io 'talebano'? Ci rido su, mi sto facendo crescere la barba. I giocatori sanno a memoria i comportamenti collettivi, sanno che spostare un giocatore in una zona di campo non prevista dalla organizzazione significa alterare tutti gli equilibri. Se io non avessi lavorato su alcun tipo di principio collettivo, allora si potrebbe fare tutto. Posso giocare una volta a tre, una volta a quattro, una a uno. Non dico che non si può cambiare, ma si deve programmare il cambiamento con le caratteristiche dei giocatori".