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Izzo e l’infanzia a Scampia: “Dovevo sopravvivere. Mi rispettavano perchè ero bravo a calcio”

Armando Izzo (getty images)

"Le partitelle erano una guerra. C’erano bambini, c’erano figli di mafiosi, c’erano pregiudicati, e soprattutto c’era tanta competitività"

Redazione ITASportPress

Armando Izzo si racconta e lo fa senza peli sulla lingua e senza alcun timore a Cronache di Spogliatoio. Il difensore del Torino ha ripercorso alcune tappe della sua vita, non solo quelle da calciatore. Da Scampia ai campi di calcio con un unico obiettivo: sopravvivere.

Izzo: "A Scampia mi rispettavano perché sapevo giocare a calcio"

 Izzo (getty images)

"Per me la parola alternativa non era contemplata. Quando nasci a Scampia non sai cosa c’è fuori, non vedi altre prospettive", ha esordito Izzo raccontando della sua infanzia. "Per me l’unica parola era sopravvivenza". "Le partitelle erano una guerra. C’era di tutto. E nessuno voleva perdere. C’erano bambini, c’erano figli di mafiosi, c’erano pregiudicati, e soprattutto c’era tanta competitività. Entrate dure, agonismo puro. Io il rispetto me lo sono guadagnato sul campo. Ero bravo e per questo mi rispettavano. Nessuno mi ha mai detto: ‘Sei un fenomeno’. Non mi dicevano niente, ma quando facevamo le squadre ero sempre il primo a essere scelto".

"Avevo 10 anni e in me era presente la consapevolezza di un bambino che doveva portare 20 euro in più a casa, oltre ai 20 che guadagnava mia mamma ogni giorno. Non avevo tempo per sbagliare strada. Quando torno a Scampia un loro abbraccio vale più di qualsiasi gesto d’amore. Il senso di unione che si crea in quei luoghi è spiegabile solo attraverso le esperienze. Quando non hai niente è più facile condividere tutto".

Izzo non dimentica quindi le sue origini e, anzi, ricorda bene quando è riuscito a giocare al San Paolo di Napoli, un momento unico nella sua carriera: "Sono cresciuto con le cassette di Maradona e mano nella mano con mio padre andavo al San Paolo. Quando ci ho giocato contro con il Genoa, anni dopo, il team manager Fabio Pinna prima che entrassi in campo dalla panchina mi ha abbracciato. Aveva capito quanto contasse per me quel momento. La maglia di Higuaín la conservo ancora, insieme a quella del mio primo gol in Serie A è la più significativa".

Una vita che lo ha reso forte, caparbio e mai intenzionato a mollare: "Non posso permettermi di mollare. È la mia forza, non posso perdere il coltello tra i denti. La fame mi ha portato dove sono e non ho paura di tornare indietro. Né di guardare in quel buco nero. Ho sofferto quando uscirono le voci del calcioscommesse. La mia immagine davanti a tutti: il mio sogno stava svanendo all’improvviso. Ho avuto un lampo: non volevo me lo portassero via".

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