ITA Sport Press
I migliori video scelti dal nostro canale

gazzanet

Macheda si racconta: “Quel gol al Manchester United che mi ha cambiato la vita e il consiglio non seguito di Ferguson…”

Macheda (getty images)

"Quel gol a Manchester mi ha seguito come uno zombie affamato, ma lo segnerei altre 300.000 volte"

Redazione ITASportPress

Federico Macheda si racconta e lo fa a Cronache di Spogliatoio parlando dei suoi inizi di carriera tra quella rete decisiva al Manchester United che gli cambiò la vita e alcune decisioni, anche infelici, prese nel corso degli anni.

Macheda e il Manchester United

"Vorrei vedere cosa avreste fatto voi. Si presenta Ferguson e ti mette sul tavolo la 9 del Manchester United. Non la 91, non la 41. La 9. E accanto ci mette pure una maglia regalo di Cristiano Ronaldo. Chiunque, in quel momento, avrebbe visto cadere le proprie certezze. Specialmente se hai 15 anni e quello che stai vivendo ti sembra parallelo al mondo in cui ogni giorno rincorri il tuo sogno: diventare calciatore". Sono queste le prime parole del racconto di Macheda. "Hai 15 anni, sei in Francia con la Nazionale e lo United batte 7-1 la Roma. Tu sei laziale e leggi “Rooney, Smith, Carrick…”, non puoi che sorridere. E poi al ritorno arriva Sir Alex e ti dà le chiavi del Paradiso...".

I primo allenamento - Macheda prosegue sulla sua esperienza allo United e racconta: "Resto a vedere l’allenamento della Prima Squadra. Seduto a bordocampo sulle borracce, accanto alla panchina. Giggs, Piqué, Ferdinand, Scholes, Nani, tutti lì a lottare. Io vestito con i jeans e una felpa, profumato dopo la doccia. A un certo punto si fa male qualcuno, non ricordo chi, anche perché in quel momento ho iniziato ad andare in trepidazione. Tanto lo sapevo. Chiamarono me. ‘Dai, metti pantaloncini e scarpe, veloce’. Non toccai un pallone. Neanche mezzo. Ma quando finì la partitella andai da David: ‘Ho cambiato idea, resto’. Da quel momento è iniziata la mia Manchester".

Vita cambiata - "’Se domani Ferguson mi fa entrare, faccio cadere Old Trafford’. Mi sono chiesto spesso: ‘Chicco, ma quel gol lo segneresti ancora?’. Perché per voi è stato facile giudicare, a me invece sono serviti anni per inghiottire le pressioni, imparare a gestire la caduta di un ragazzo che aveva perso qualsiasi certezza. ‘Sì Chicco, lo segneresti altre 300.000 volte, perché quello che hai vissuto in quella settimana è unico, incredibile. Ti giri, salti Luke Young e la metti a giro sul secondo palo’. Boato. Ero solo un ragazzo della squadra riserve. A dire il vero conoscevo il destino della mia selezione, ma non seguivo così tanto i grandi del Manchester United. Al rientro negli spogliatoi gli altri festeggiavano, ma lo facevano in modo particolare. Esuberante, profondo. Venivano da me, mi abbracciavano, mi ringraziavano. Strano. Avevo segnato un gol fondamentale per la vittoria della Premier League e non lo sapevo", le sue parole alla prima rete col Manchester United.

 Macheda (getty images)

Un gol che cambiò tutto nella vita di Macheda: "I negozi si svuotavano e una massa sempre più uniforme di gente si avvicinava. La mia prima reazione? ‘Cazzo’. Il giorno prima neanche mi facevano lo sconto, ora chiudevano per farsi la foto con me. In 24 ore. Anche se la fama qualche beneficio lo aveva. Ero 17enne e all’ingresso dei locali mi rimbalzavano sistematicamente. Aspettavo un gancio, qualcuno che dall’interno mettesse una mano sulla mia testa, come in un quadro divino, facendomi entrare. Invece niente, passavo le ore fuori fino a quando non mi veniva sonno. Io e i miei amici, in attesa, come accade agli sfigati. Fino a quel gol. Alla prima serata disponibile, gli stessi bodyguard che non mi facevano entrare si spintonavano per proteggermi fino al miglior tavolo del locale, con le migliori bottiglie e con tutto quello che ci si può augurare all’inizio di un sabato sera in discoteca".

Consiglio non seguito

Poi il declino per colpa di una scelta sbagliata: la Sampdoria. "Venivo da 6 mesi buoni con lo United e Ferguson mi disse di non andare in Italia. Mi consigliò di andare in prestito in Inghilterra, così poteva tenermi d’occhio. La presi come una cosa facile: 'Adesso vado in prestito, spacco tutto e torno qui'. Scelsi di tornare a casa, nel mio Paese, e firmai con la Sampdoria. Rifiutai qualsiasi destinazione. Solo che Pazzini venne ceduto e su chi ricaddero tutte le aspettative? Su di me. Un ragazzino che sì, veniva dallo United, ma che ne sapevo delle responsabilità? Non ho mai visto un 19enne che salva una società. La scelta fu sbagliata, aveva ragione Sir Alex".

La pressione e il presente

"Mi mettevano pressioni, e io le aumentavo. Mi caricavano di aspettative, e io le aumentavo. Mi guardavano e si aspettavano due gol a partita, e io volevo segnarne tre. Ciò che mi aveva reso forte si stava sgretolando dall’interno. Ho passato anni a trovare scusanti, a dare la colpa agli altri. Quando ho iniziato a prendermi responsabilità, anche quando non erano mie, la mia vita calcistica è cambiata. Quel gol a Manchester mi ha seguito come uno zombie affamato, ma lo segnerei altre 300.000 volte. L’etichetta era alta, il vociferare sul mio conto esagerato. Ho ancora il cd di quella rete, me lo regalò il Club dopo la partita. In quel CD ci sono felicità, ansia, gioia, panico, bellezza e atteggiamenti dannosi. Tutti racchiusi in un gesto e nelle sue declinazioni successive. Dopo il Novara, con cui ho segnato 4 gol in B, ero nuovamente svincolato e con l’etichetta del ‘fallito’. A chiunque verrebbe voglia di salire sul primo treno che passa. Mi offrirono dei provini a Livorno e Padova. No, stavolta sarò io padrone della mia vita. Rifiutai. Un pazzo? Neanche per sogno".

"Mi chiamò Nikos Dabizas, il ds del Panathīnaïkos. Eccolo, un treno. Avevo paura che fosse l’ultimo. Lui di attaccanti se ne intende: era stato compagno del mio allenatore a Birmingham e, oltre ad aver vinto l’Europeo con la Grecia, è stato saltato da Bergkamp in uno dei gol più famosi nella storia di questo sport. Sì, lui era quel difensore. E io, di dribbling, me ne intendo. Chiedetelo all’Aston Villa. Mi chiamò tante volte per 2 settimane, e io mi ripetevo: ‘Devi convincerlo con le parole, assecondalo. Devi strappare per forza questa occasione’. Avevo assunto una mentalità vincente. E infatti ho vinto. Mi hanno chiesto: cosa non rifaresti? Non lo so, ma so cosa farei: quello che sto facendo adesso. Ora, quando scendo in campo, posso dire di non aver rimpianti. Se stai bene con te stesso, le cose vengono da sole".

 Macheda (Twitter Panathinaikos)
tutte le notizie di