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Calciomercato

Uefa, evaporato Fair Play finanziario e Psg e City godono di trattamento benevolo

Uefa (logo)

Al tempo del Covid la differenza la fanno i capitali dei soci

Redazione ITASportPress

Due club da soli al comando, anzi tre. Il calciomercato di questa avara sessione estiva per le italiane, lo stanno facendo le straniere: Psg e i due Manchester. E' fermo il Bayern Monaco e anche il Barcellona che ha perso Messi mentre vivacchia il Real. Ma cosa sta succedendo? Focus oggi della Gazzetta dello Sport che giustamente ha puntato l'indice sul Fai Play finanziario voluto dall'Uefa ma che sembra non funzionare con le big.

Come riporta la Rosea, il Psg, così come il Manchester City, ha sempre goduto di un trattamento benevolo da parte dei controllori dell’Uefa. Ricordate le sponsorizzazioni aggiusta-bilancio? Il fatto, del tutto speciale, che dietro le rispettive proprietà ci fossero stati sovrani ha annacquato a tal punto il concetto di “parti correlate” da consentire che quelle maxi operazioni commerciali ricevessero l’ok sostanziale di Nyon sebbene il buon senso lasciasse intendere altro: non contratti giustificati dalla forza dei marchi ma espedienti dietro cui si celavano iniezioni di capitale. Diciamoci la verità: la regola aurea del fair play finanziario, quella del break-even (la formuletta “spendo quanto incasso”), è stata aggirata bellamente dai nuovi ricchi del calcio, puniti con semplici multe. Parlano i numeri: da quando la famiglia Al Thani è sbarcata a Parigi, la squadra francese ha registrato un risultato contabile aggregato positivo per 53 milioni tra il 2011 e il 2019 (prima delle copiose perdite da Covid), ma ha potuto farlo grazie a quei contratti con entità qatariote del valore tra i 100 e i 215 milioni all’anno. Tutto questo nell’era della ferrea applicazione del fair play a carico delle italiane, con la tagliola del settlement agreement per Inter e Roma e l’esclusione dalle coppe del Milan. E se nella clamorosa estate del 2017 il Psg ha fatto digerire all’Uefa il doppio crack Neymar-Mbappé da 402 milioni, figurarsi adesso che, causa pandemia, il fair play è stato nella sostanza sospeso, messo in soffitta, congelato a data da destinarsi. D’altra parte, la grande emergenza dell’industria calcistica è una crisi di liquidità senza precedenti, dovuta al brusco arrestarsi del flusso di denaro dei ricavi da stadio (e connessi) con la conseguente voragine nei bilanci: nell’arco di due stagioni le perdite del calcio europeo sono state stimate in 8 miliardi. È una questione di sopravvivenza, ormai. Ne sanno qualcosa top club come Barcellona e Inter. Ecco perché, nell’ottica dell’Uefa che in ultima istanza deve salvaguardare la tenuta del sistema, sono benvenuti i capitali dei soci. E se questi capitali scarseggiano, a causa delle difficoltà che i proprietari stanno incontrando nei settori in cui hanno i loro core business, i pochi in grado di disporre di moneta sonante sono visti adesso come i salvatori del movimento. Metteteci pure gli intrecci politici – basti pensare alle affinità di vedute tra Ceferin e il presidente del Psg e dell’Eca Al Khelaifi dalla Superlega in avanti – e il gioco è fatto.

A esser sinceri, in tempo di Covid è plausibile porsi delle priorità e adottare del sano realismo. Quali club avrebbero potuto rispettare la regola del break-even? Forse solo il Bayern tra i top club. Più che intestardirsi sul principio dell’autosufficienza dei club, meglio incentivare forme di protezione da parte degli azionisti. Ecco, quindi, che nel nuovo fair play che sta studiando l’Uefa la norma del break-even verrà sostituita da un meccanismo che tenga conto degli apporti della proprietà: in sostanza, i club potranno pure registrare perdite di bilancio purché siano coperte da equity e non vadano a debito. Almeno sarà tutto alla luce del sole.

 (Getty Images)
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