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Biagianti: “Ancora ferito dall’addio al Catania. Ora penso solo da tifoso”

Biagianti (getty images)

"Catania è ormai la mia città e quella famosa scelta di dire 'mai al Palermo' è l’emblema di quanto io tenga a questi colori". Parla l'ex centrocampista

Redazione ITASportPress

Lunga ed interessante intervista rilasciata a Goal da parte di Marco Biagianti, storico giocatore del Catania e secondo per numero di presenze nella storia del club. L'ex centrocampista ha lasciato il calcio a undici per darsi a quello a 5 ma non dimentica ogni attimo vissuto con gli etnei.

Biagianti a 360°

 Biagianti (Instagram Biagianti)

Parte dal principio Biagianti e racconta il primo approdo al Catania: "Passai al Catania negli ultimi giorni di gennaio del 2007 e dopo neanche una settimana ci fu il famoso 2 febbraio. Quel venerdì è stato veramente difficile: dal campo non si capiva bene ciò che stava succedendo, restammo bloccati per ore nella zona pullman tra elicotteri, urla e sirene della polizia. È stata una giornata brutta per Catania e per il calcio".

Dopo quegli avvenimenti il Catania fu costretto a giocare in campo neutro tutte le gare previste inizialmente al Massimino fino al termine della stagione. Un finale di stagione che Biagianti ricorda bene. Dopo pochi minuti fino a quel momento giocato, ecco la titolarità in una sfida decisiva per la salvezza giocata contro il Chievo: "Mister Marino mi mandò in campo in maniera inaspettata in quel famoso 27 maggio: era una gara importantissima e per fortuna si è conclusa con il lieto fine". Attenzione a quella data col 27 che rimarrà poi indelebile nella vita del giocatore: "Quell’anno giocavo con il numero 19 ma poi, in ricordo di quella giornata, decisi di scegliere il numero 27 che mi porterò per sempre perché mi ricorda quella vittoria indimenticabile".

Negli anni a Catania Biagianti ha conosciuto grandi allenatori e grandi compagni: "Ognuno di loro ha fatto o sta facendo dei grandi risultati, ma se devo dirti chi mi ha trasmesso di più ti dico Mihajlovic e Zenga, che secondo me erano quelli più predisposti nel cercare di creare un rapporto con i giocatori. Devo tanto anche a Marino che, ovviamente, mi ha regalato l’esordio e a Montella, che ci ha fatto conoscere tante nuove metodologie d’allenamento. Ma ovviamente anche Giampaolo, Simeone, Maran... tutti mi hanno dato tanto e sono stato fortunato ad avere così tanti allenatori di spessore".

E dopo gli allenatori anche i compagni: "Chi sono stati i migliori? Papu Gomez era già fortissimo, ma era ancora all’inizio della sua carriera e poi il suo meglio l’ha dato più avanti. Il ‘Pitu’ Barrientos, invece, a Catania era al top della sua carriera ed era in grado davvero di disegnare calcio: giocare e soprattutto allenarmi con loro era una grande fortuna. Durante gli allenamenti Barrientos faceva delle cose incredibili, era un giocatore unico".

Curioso anche il retroscena su Morimoto: "Con lui ci divertivamo moltissimo perché lui era quasi un fumetto. Magari stava per ore in silenzio e poi provava a parlare con l’accento siciliano. Mi fa ancora ridere pensare a quando, durante il torello, avevamo istituito la regola che al terzo errore chi sbagliava si prendeva uno scappellotto da tutti gli altri. I compagni più esperti passavano il pallone a Morimoto in maniera diversa, più difficile da controllare, magari glielo lanciavano con potenza di collo anziché di piatto e lui, per non sbagliare lo stop e non subire gli scappellotti, faceva il possibile per controllarlo comunque col petto: gliene tiravamo addosso talmente tanti che a fine allenamento aveva spesso il petto rosso e anche chi non partecipava a quel gioco veniva lì per assistere allo spettacolo... ma lui non si tirava indietro, è sempre stato un ragazzo divertente e autoironico".

Col Catania è arrivata anche la chiamata della Nazionale: "Nel giugno del 2009 mister Lippi convocò me e Peppe Mascara per un’amichevole contro l’Irlanda del Nord disputata a Pisa. Fu una settimana ricca di emozioni, peraltro vissuta a Coverciano, praticamente a casa mia. È stata un’esperienza bellissima, uno splendido premio per noi e per la squadra".

Un rapporto, quello col club etneo che resterà per sempre: "Il Murales a me dedicato all’esterno dello Stadio Massimino? È molto emozionante, specialmente adesso che non gioco più. Quando ho deciso di chiudere col Catania sono andato lì a fare una foto ricordo con la mia famiglia perchè la cosa più bella è poter condividere con i miei figli ciò che ho costruito in queste 11-12 stagioni complessivamente vissute a Catania e tutte le volte che passerò davanti allo stadio vedendo quel murales mi verrà sempre un sorriso".

Sul presente e sul futuro nonostante l'addio al calcio giocato: "Non ho mai avuto dubbi: Catania è ormai la mia città e quella famosa scelta di dire “mai al Palermo” è l’emblema di quanto io tenga a questi colori".

E sul futuro: "Immaginare un futuro di nuovo nel Catania con Tacopina? La ferita legata alla chiusura col Catania me la sto ancora portando dietro, quindi in questo momento sto pensando di progettare la mia vita pensando al Calcio Catania soltanto come tifoso. Sono legatissimo a questi colori, ma per il momento guardo al presente anche se, chiaramente, mai dire mai...".

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