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Catania dopo l’asta: i traditori di Tacopina e le sette chiese del Pellegrino

Catania dopo l’asta: i traditori di Tacopina e le sette chiese del Pellegrino - immagine 1

La rubrica sul Calcio Catania curata da Luca Allegra

Redazione ITASportPress

IL CAFFE' SCORRETTO DI LUCA ALLEGRA

Catania dopo l’asta: i traditori di Tacopina e le sette chiese del Pellegrino- immagine 2

 

Persino il pur nobile - e kantiano- ottimismo della volontà sarebbe inadatto a spiegare le ragioni della narrazione cui abbiamo assistito in questi giorni a Catania sul bando per l’acquisto del titolo sportivo della società calcistica.

Le fantasiose indiscrezioni sui presunti investitori continentali pronti ad accorrere al capezzale del morente sodalizio etneo si sono volatilizzate in un fiat in una mattina di febbraio, mite come una giornata primaverile.

Ma a Catania la bella stagione sembra non esserci più: in città vige un inverno cupo e decadente che ammanta ogni settore in un declino che l’agonizzante calcio cittadino fotografa implacabilmente.

La chiamata in correità non può che essere universale, non può non abbracciare ogni ganglio della comunità.

La classe imprenditoriale locale ha dato prova di sè nell’ectoplasmatico sodalizio che si è fatto carico del Catania: un’esperienza sconfortante, e miserrima, un precipizio di incompetenza, di inconsistenza, di insolvenza terminato con l’inevitabile fallimento decretato da un tribunale pur benevolo che tutto ha fatto - e forse farà - per garantire che non si abbassasse definitivamente la saracinesca sull’universo pallonaro locale.

Ma chi ha voluto fare il passo più lungo della gamba detiene il suo carico di colpe storiche.

E fa sorridere - se non facesse piangere- che anche esponenti della società con incarichi di responsabilità apicali come il direttore plenipotenziario Maurizio Pellegrino -mediocre allenatore ed improvvisato dirigente - abbiano provato in questi giorni a fare il giro delle sette chiese tele-radiofoniche quasi a volere raccogliere i peana plaudenti di una parte di sportivi che ne hanno voluto tessere le lodi per i risultati ottenuti (il tredicesimo posto in serie C!).

A chi diceva agli albori della stagione di voler migliorare la posizione dell’anno scorso pur consapevole della penuria dei mezzi a disposizione?

A chi si è recato in Lega Pro a garantire la solidità del progetto SIGI all’avvio dello stesso mettendo la faccia sullo standing dell’abborracciato gruppuscolo di imprenditori?

A chi ha in tutto e per tutto svolto il ruolo di punto di riferimento di un’esperienza societaria fallimentare?

A chi dalla cessione di Moro - futuro centravanti del Sassuolo - è riuscito a strappare una mancetta di 70 mila euro quale “premio di valorizzazione”?

Facciamo fatica a capire.

Naturalmente non possono dirsi innocenti neanche le autorità cittadine e l’intera deputazione locale che avrebbero dovuto fare le umane e le divine cose per impedire la diserzione del bando. Profondendosi in un’accurata moral suasion verso i potenziali acquirenti, attivandosi con solerzia a tutto campo e chiamando ad i numeri giusti se li detenessero nella rubrica telefonica.

Non ne hanno alcuno invece e l’asta deserta è lì a dimostrarlo in tutta la sua desolante evidenza.

Essere periferia dell’impero significa proprio questo: non contare e credere di farlo sol perché qualche servile giornalista in versione reggimicrofono sta lì ad omaggiarti nel piccolo cortile di casa.

E sarebbe un delitto non menzionarli i tanti opinion leader del web che narrano del Calcio Catania con spocchia e senza nulla - e dico nulla - sapere.

Tra trombettieri del padrone di turno - oggi, come ieri, come sempre - difensori di astratti codici numerici, saccenti bramosi di scoop incapaci di verificare la consistenza delle fonti, populisti d’accatto lesti a germinare solo dove l’ignoranza regna sovrana.

Autentici buoni a nulla e capaci di tutto: una compagnia di giro la cui credibilità rasenta lo zero assoluto.

La città ha perso l’occasione di un vero riscatto sportivo su basi nuove e manageriali nel momento in cui è naufragata la trattativa con il gruppo di Joe Tacopina, l’unico che avrebbe potuto garantire ambizione e competitività.

Sarebbe stato d’uopo mettersi a disposizione interamente, con serietà, spendendosi per facilitare prospettive di sviluppo ed offrendo reali aperture per garantire un ritorno economico futuribile.

Invece si è scelto di utilizzare il solito macchiettismo: tra domande sui gusti della granita preferiti ed elefantini donati dinanzi a fogli bianchi spacciati per impegnative d’acquisto. Poi quando è saltata l’operazione non è persino mancato chi ha appellato l’avvocato statunitense quale truffatore.

Nulla di serio per una città che osserva sbigottita il suo cupio dissolvi e che sembra precipitare senza paracadute giù per il ripido burrone che le si staglia dinnanzi.

Catania è in ginocchio

E la mano che ha teso per implorare un nuovo padrone che possa fare rotolare il pallone alla domenica è rimasta vuota.

Nessuno ha raccolto le implorazioni di una comunità sola ed abbandonata

Saluti sconsolati

 

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