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CATANIA, lavori in corso. Muro difensivo da rinsaldare

La difesa del Catania poggia su un terreno poco solido. In particolare in casa sono ben 9 le reti subite. Urge rimediare a lacune e disattenzioni.

Veronica Celi

Una diga che comincia a crollare. O forse qualche infiltrazione di troppo c'era già. In casa sicuramente. Da inizio campionato la difesa del Catania è stata caratterizzata da alti e bassi. È passata da prestazioni degne di stima a crolli apparentemente inspiegabili. E la maggior parte di questi è avvenuta al "Massimino". Davanti alle 9 reti subite - contro le 6 in trasferta - fattore campo e spinta del pubblico non hanno potuto nulla. Due contro l'Ischia, altrettante col Martina Franca, e tre rifilate dal Benevento: questi i casi più eclatanti. In almeno quattro occasioni si è trattato di calci di rigore. Ma gli svarioni hanno spesso condotto a ribaltoni pericolosi, o a rimonte sul filo del rasoio.

Un reparto che sembrerebbe statico. Ognuno rispetta le sue posizioni. In realtà, però, non sempre è così. Se il baricentro si sposta in avanti, ripristinare la linea difensiva è un'impresa. O almeno così lo è diventato nelle ultime sei partite. La fascia destra parla da sé. Con Parisi, ma in maniera più evidente con Garufo, su quel versante è significativo l'apporto al settore offensivo. Piovono cross in area invitanti per gli attaccanti. Le sovrapposizioni sono all'ordine del giorno. Ma coprire gli spazi qualora gli sfidanti puntino su velocità e ripartenze, non riesce come dovrebbe. Gli errori maturano. E sull'albero delle imperfezioni si intravede anche qualche disimpegno inefficace. Perdere palla nella propria metà campo si sta rivelando un vizio insidioso.

Idem i centrali. È vero che contro la squadra di Auteri mancava Pelagatti, titolare fisso nel 4-3-3 di Pancaro. Ma è anche vero che le colpe del crollo difensivo non sono da imputare esclusivamente a Ferrario, giocatore che finora è apparso poco e ha fatto bene (Monopoli, Cosenza, Akragas e Lupa Castelli sul finale). Gli interventi dell'ex Lanciano sono stati più impregnati di durezza che di produttività. In generale, però, quando le altre formazioni giocano di prima, palleggiano e poi tentano il tiro a sorpresa, è l'intera retroguardia a traballare. Si lascia saltare facilmente. Non incide più come le prime giornate, quando si raddoppiava la marcatura se in difficoltà. Prevale un diffuso stato di confusione. È il non prestare attenzione alle manovre avversarie può far lo sgambetto. E far rotolare i rossazzurri verso esiti non auspicabili, sul rettangolo verde tanto quanto in classifica. I palloni alti restano comunque il cavallo di battaglia della difesa etnea. Tanti i saltatori che svettano ad allontanare ghiotti assist. I centimetri non mancano. E neanche l'audacia.

Anzi, bisognerebbe averne di più. In ogni scivolata, in ogni contrasto. Con un po' di lucidità poi si costituirebbe un mix ideale e letale allo stesso tempo. Perché se cambiando gli addendi, il risultato resta invariato nel bene o nel male, è necessario modificare i comuni denominatori, quali giocate e atteggiamento, per svoltare, tornare alle origini e fare del "Massimino" la tanto famigerata fortezza.

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