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Da Re Mida a “solo danni”: la caduta di Lo Monaco, il DG più odiato di Catania

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La rubrica sul Calcio Catania curata da Luca Allegra

Redazione ITASportPress

Da Re Mida a “solo danni”: la caduta di Lo Monaco, il DG più odiato di Catania- immagine 2

IL CAFFE' SCORRETTO DI LUCA ALLEGRA

 

Pochi personaggi hanno saputo suscitare a Catania sentimenti contrapposti e pareri antitetici come Pietro Lo Monaco.

Venerazione pressoché totale nel corso della sua prima esperienza quando al fianco di Antonino Pulvirenti ha condotto per mano Catania ed il Catania nei salotti del calcio che contano.

Ostilità, ben oltre le soglie dell’insulto, dilagata invece durante la sua seconda avventura in terza serie tra insoddisfazione rabbiosa e fragorose proteste della piazza.

E molti suoi errori.

Le falde dell’Etna costituiscono lo scenario simbolico della parabola discendente del dirigente torrese, oggi alle soglie dei 70 anni, ma ancora in sella con scadenti fortune in quel di Messina.

È impossibile per chiunque, anche per chi scrive che ha coltivato con il dirigente un rapporto di odio ed amore vicendevole, misconoscerne gli straordinari meriti sportivi.

L’epopea del Catania in massima serie, l’accreditamento di una squadra passata dalle malinconiche plaghe della C sino alle soglie delle coppe europee, la cavalcata in serie A del 2006 nel nome della sicilianità del duo Marino- Mascara, sono pressoché totalmente farina del suo sacco e della sua vision.

Come la scelta del’ “sudamericanismo” - la felice intuizione di puntare su una colonia argentina dall’immediata capacità di adattamento al calcio italiano - per giungere alla memorabile sfilza di plusvalenze - 25 milioni elargiti dalla Juventus e Fiorentina in tempi diversi per il duo Martinez- Vargas - costituenti operazioni di economia sportiva da manuale.

Ma la gloria degli uomini, anche di quelli del mondo del calcio, è caduca.

L’alchimia creatasi a Catania negli otto anni della sua prima militanza ha costituito un unicum nella sua carriera: in nome dei fasti  sportivi tutto gli fu permesso con un unanimismo di posizioni che solo pochi irregolari provammo ad infrangere per impedire che lo sciabordio della melassa zittisse anche le voci critiche.

Un giorno al culmine di una conversazione piuttosto tesa dissi a Pietro che sarebbe venuto il momento in cui tutti i maggiordomi servizievoli che lo avevano lusingato, specie quelli della carta stampata, si sarebbero ribellati come cani tenuti a catena schiumanti di rabbia contro il padrone che li angariava.

È accaduto nella seconda parte della sua esistenza etnea quando i risultati non furono quelli sperati.

Lo Monaco era divenuto un dirigente come tanti che inseguiva quella promozione in B che avrebbe potuto forse alleviare finanziariamente una società oggi vicina al default.

Mise a terra il progetto con ricette sorpassate: atleti anziani e costosi, tecnici licenziati in serie, stipendi roboanti che il sodalizio non poteva più permettersi per agguantare un salto di categoria solo sfiorato.

Certa stampa non ebbe pietà. 

Gli stessi che gettavano petali di rosa al suo incedere, che annuivano a mó di tic anche quando Lo Monaco parlava del meteo, che avrebbero concesso lo ius primae noctis al dg etneo pur di sedere al suo desco, ebbero l’ardire di contestarlo per rifarsi una verginità, screditati come erano (e come continuano ad essere) dinanzi al pubblico dei lettori.

Tipico della viltà di certi uomini attaccare un uomo in difficoltà.

Usuale, per gente mediocre e cinica come costoro, agire come tanti Maramaldo etnei.

Io ho simpatizzato per il Lo Monaco perdente, facendolo da lontano che l’attività giornalistica non faceva più parte del mio quotidiano, ho solidarizzato con lui per la criminale aggressione subita per mano di un capo ultrà, mi sono indignato per le miriadi di scritte offensive di cui la città è ancora disseminata.

Mi piacciono più gli sconfitti dei tracotanti, solidarizzo con i vinti piuttosto che inginocchiarmi dinanzi ai potenti

Sarà carattere, umanità, formazione. Non è pena. Resta inteso che il suo tocco magico era ormai tramontato.

L’amministratore perpetuó condotte gestionali casareccie, si avvalse di troppi collaboratori-lacchè il cui unico effettivo incarico era riferirgli cosa accadesse in seno allo spogliatoio, non procedette verso un graduale risanamento finanziario preferendo scommettere sulla promozione come salvacondotto, anche finanziario della società.

La vecchiaia inasprì aspetti deteriori del suo carattere che confidenzialmente gli avevo sempre rimproverato: troppe piazzate, troppe scenate fuori luogo, boutades imbarazzati, j’accuse ciechi contro la stampa (che pure in larga parte le meritava), intemerate scomposte contro i tifosi.

Un precipizio concluso con la separazione al culmine di campionati competitivi ma senza strategica progettualità e che non approdarono al ritorno ad una categoria più consona per la città

Le pagine finali della carriera di Pietro Lo Monaco non rendono giustizia al percorso onusto di gloria sotto l’Etna.

Oggi è divenuto un mediocre personaggetto come tanti di un calcio di scarso appeal tecnico e zero presa mediatica.

Resta inteso che alla luce delle ultime miserie dell’attuale gestione societaria etnea, persino l’ultimo Lo Monaco sembra un gigante, facendosi preferire alla miseria strategica ed all’assenza di progetto di questa sedicente ed improvvisata cordata di scappati di casa che sta per spingere il Catania giù per un dirupo.

Al netto delle gradualità - per alcuni titubanze- che il tribunale fallimentare etneo pone in essere in questi giorni nei confronti di un sodalizio rabberciato e con voragini debitorie oceaniche.

Di certo la parentesi più grigia del percorso sportivo del dirigente campano a Catania surclassa nei fatti  l’attuale “progetto” (sic!) Sigi 

È tutto dire 

Saluti di verità 

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