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Lo Monaco: “A Catania vincere e dirsi addio non era una scelta”

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Le parole dell'ex amministratore delegato a Itasportpress
Redazione ITASportPress

Il calcio italiano è ricco di storie di allenatori vincenti che hanno detto addio dopo aver sollevato un trofeo o vinto uno scudetto. L’Inter del triplete perse Mourinho, ma anche Conte, Sarri e Allegri hanno contribuito a prolungare la scia delle separazioni clamorose. L’ultimo a vincere e dire addio al club è stato il tecnico del Napoli, Luciano Spalletti, ottavo allenatore che negli ultimi vent’anni ha abbandonato la squadra dopo aver vinto lo scudetto. Qualcosa di simile, ma con risultati diversi, si è registrato a Catania. Nella stagione appena conclusa i rossazzurri hanno vinto il campionato di Serie D con il mister Giovanni Ferraro che però non è stato confermato. 

Andando più indietro nel tempo Il momento più bello della storia del Catania Calcio è sicuramente quello che va dal 2006 al 2013. Tanti anni di Serie A e clamorose vittorie in campionato contro Inter, Milan e Juventus impreziosirono quella magica avventura. Una Europa sfiorata e tante salvezze di fila condite da bilanci perfetti, plusvalenze record, la realizzazione del centro sportivo e un settore giovanile all’avanguardia. Catania era l’orgoglio del Sud, il Sud nel calcio italiano era periferia dell’impero che col pallone guadagnava riconoscibilità e affrancava la propria identità. In quel Catania che mieteva successi e puntualmente si salvava ricevendo i complimenti da tutto il mondo sportivo, c’era un via vai di giocatori e allenatori che si separavano nel momento più bello. Sembrava un’abitudine. Appena raggiungevano l’obiettivo e si mettevano in luce andavano via. Il solito leitmotiv: vincere e dirsi addio. Anche a Catania. 


Lo Monaco pensiero L’ex a.d. del Catania Pietro Lo Monaco, spiega quella “fuga” di giocatori e allenatori ai microfoni di Itasportpress. “Altro che moda, abitudine o coincidenza, quel modus operandi era la nostra politica societaria. Agli allenatori, molto spesso debuttanti, che accettavano le nostre condizioni economiche lo dicevo sempre prima della firma del contratto che la separazione era possibile e che non avremmo accettato aste al rialzo l'anno dopo. Il core business della società era di valorizzarli e farli crescere questi mister debuttanti. I tecnici prendevano da noi uno stipendio normale e poi quando raggiungevano il loro obiettivo, grazie al nostro lavoro, non potevamo più trattenerli e lasciavano Catania. E’ successo con Zenga, con Montella, con Mihajlovic ma l’elenco è lungo di chi è andato via avendo ricevuto offerte importanti. Avevo preso anche Vincenzo Italiano ma l’attuale allenatore della Fiorentina mi disse sì a Enna dove lo incontrai, poi andò allo Spezia. Le mie gestioni sempre oculate non potevano mai avvicinarsi a quelle delle società più ricche. Quando l’allenatore si valorizzava, e ripeto grazie al lavoro della società, non lo potevamo trattenere con forza. Io ho sempre scelto per la panchina ex calciatori con un passato illustre che avevano la stoffa dell’allenatore anche senza esperienza. Valorizzare, raggiungere l’obiettivo e vendere. Ecco perchè i bilanci del Catania erano così perfetti".

Bilanci da sogno Lo Monaco poi parla della gestione oculata del suo primo Catania: "La società per come era gestita rappresentava un vero miracolo economico-sportivo. Pensare che anche l’attuale presidente di RCS e della Gazzetta dello Sport, Urbano Cairo nel suo ufficio aveva tutti i bilanci del Catania e un giorno mi chiese qual era il segreto di quel miracolo economico-sportivo nel profondo Sud. Il bilancio era sacro per me. Massima spesa per un giocatore fu di due milioni di euro ma quando facevo questo sforzo avevo paura perchè temevo di bruciare i soldi della società. Il primo anno in A di diritti tv ci vennero riconosciuti 13 milioni di euro ma poi arrivammo a 30. Circa 100 milioni di euro giravano a Catania tutta con una società modello come di Pulvirenti".

Il disastro Lo Monaco è tonato a Catania in Serie C ma la seconda avventura dietro la scrivania rossazzurra non fu come la prima: "Lasciai a maggio del 2012 un parco giocatori valutato 280 milioni di euro, un centro sportivo valutato 100 milioni di euro e zero debiti. Nei tre conti correnti intestati alla società c’erano tanti soldi e in uno addirittura 7 milioni di euro in banca. Durante i 4 anni senza di me non so nulla di cosa sia successo ma fu un disastro. Il mio più grande colpo di mercato fu senza dubbio una doppia plusvalenza con  la separazione da Vargas e Martinez ceduti a peso d'oro, ma anche Fabio Caserta fu preso per pochi spiccioli e venduto 4,5 milioni, Silvestre preso per 700 miglia euro fu ceduto per 8 milioni di euro. Il Catania non faceva plusvalenze solo con gli argentini visto che tanti calciatori li prendevamo dalle categorie inferiori, su tutti Biagianti, Caserta e Antenucci. Il vivaio era un altro valore per noi: dalle giovanili hanno esordito in prima squadra Nicastro, Donnarumma, Sciacca. Ecco come feci le fortune di quel Catania che oggi non c'è più ma la storia non si cancella e neanche gli anni della Serie A possono essere cancellati. Ripetersi non sarà facile per nessuno". 

dirigenti del Catania