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De Agostini a ISP: “Insegno ai bambini il bello del calcio. Cresciuto tra il terremoto e il mito di Zico”

Italian footballer Luigi De Agostini of Juventus on the ball during the European Cup Winners' Cup semi-final, second leg, against Barcelona, at Stadio delle Alpi, Turin, 24th April 1991. Juventus won 1-0. (Photo by Shaun Botterill/Getty Images)

L'ex esterno, protagonista a Italia 1990, si racconta ai nostri microfoni

Redazione ITASportPress

Di Federico Mariani

A ogni livello una delle qualità più richieste è il senso di adattamento. Non è da tutti adeguarsi all’alternarsi di diverse situazioni, all’evoluzione delle difficoltà della vita, sportiva e non. Sul rettangolo di gioco Luigi De Agostini è stato uno dei calciatori che meglio hanno fatto valere questa dote. Nato calcisticamente come attaccante e divenuto poi terzino, si è trasformato in un esterno capace di coprire tutta la fascia, arrivando ad avere una certa familiarità con il gol, come testimoniano i 33 centri in Serie A. Anche per questo motivo, è stato uno dei punti di forza delle squadre in cui ha giocato e uno dei più apprezzati dagli addetti ai lavori del campionato italiano degli Anni ’80 e ’90. De Agostini ha raccontato i segreti della sua carriera ai nostri microfoni.

Luigi, come valuta questa emergenza che si è abbattuta sull’Italia e di riflesso sullo sport?

“L’emergenza è grande e hanno fatto bene a bloccare lo sport in Italia. Invece ha fatto abbastanza effetto vedere il comportamento dell’UEFA con Champions ed Europa League perché alcune partite si sono giocate tranquillamente e altre no. Forse non hanno capito bene la portata di questa malattia. Sembra che siano convinti che non riguardi gli sportivi, ma come abbiamo visto anche loro vengono colpiti. Anche negli altri paesi ora iniziano a emergere i primi casi”.

Si è parlato dei playoff come possibile soluzione per l’assegnazione dello scudetto. Qual è la sua idea a riguardo?

“Io aspetterei di vedere il percorso e l’evoluzione di questo virus. Adesso hanno bloccato tutto lo sport fino ad una determinata data. Ora sarebbe utile attendere e poi eventualmente riprogrammare quando l’emergenza sarà rientrata. Può essere che il problema si risolva rapidamente. Ma al momento parlare di soluzioni senza conoscere con precisione i tempi effettivi non ha senso”.

In compenso l’Italia sembra essersi davvero compattata a livello nazionale come in poche altre occasioni.

“In questo caso dimostriamo di essere un paese davvero unito. Io ho provato qualcosa di simile in occasione del terremoto in Friuli”.

Quanto è stato segnato da quella tragedia nella sua vita privata e professionale?

“Purtroppo quando ci sono certe tragedie bisogna saper reagire e ripartire. Per quanto riguarda il Friuli, posso dire che in pochi anni si è riusciti a rimettere in sesto tutto. Gli aiuti inviati sono stati usati bene”.

La sua carriera è partita proprio da quel Friuli che usciva dalla tragedia.

“È vero. A 17 anni ero all’Udinese. Lì ho vinto il campionato Primavera e ho esordito in Serie B con Giacomini. Poi ho vinto la Mitropa Cup. Sono stati sei anni molto belli . E poi è arrivato Zico. Avevo 22 anni e dovevo imparare tutto. Ancora adesso ben vengano quegli stranieri che insegnano ai ragazzi più giovani”.

La presenza del Galinho è stata molto importante per quell’Udinese. Qual è il ricordo più bello che la lega a Zico?

“Ricordo che ero andato a trovarlo insieme a mio cugino a casa sua un pomeriggio. Io mi ero allenato al mattino, mentre Zico era infortunato. Siamo rimasti tutto il tempo davanti al televisore a guardare una videocassetta con tutti i suoi gol. Erano oltre 400… E poi mi è rimasta impressa una trasferta a Catania. Vincevamo 1-0 e nei minuti finali hanno assegnato una punizione a nostro favore. Tutto lo stadio ha iniziato ad applaudire e ad acclamare Zico per vederlo all’opera. E lui ha segnato... Non mi era mai capitato di vedere uno stadio intero tifare o incitare un avversario. Ma lui era un campione speciale. E grazie alle sue prodezze il Friuli si è fatto conoscere nel mondo”.

Lei poi è stato ceduto all’Hellas Verona. Non era un po’ pericoloso per un giovane tentare il salto di qualità con una squadra che aveva avuto più di un problema dopo lo scudetto?

“La squadra aveva rischiato grosso nell’anno successivo alla vittoria del campionato. Poi eravamo arrivati Pacione, Rossi, Galia ed io. E siamo arrivati quarti, ottenendo il miglior risultato dopo lo scudetto. Era un ambiente ideale per uno come me. È stato un trampolino di lancio fondamentale per me. Ho esordito con Dino Zoff nell’Italia olimpica e con la Nazionale maggiore di Azeglio Vicini. Ed è stato un anno straordinario: ho vinto anche il premio di miglior terzino sinistro del campionato italiano. Sono rimasto legato al Verona e lo continuo a seguire”.

E che idea si è fatto della stagione della squadra di Ivan Juric?

“Stanno facendo una stagione straordinaria. Anche perché in squadra ci sono tanti giocatori sconosciuti ai più. Bravo chi li ha scoperti. Del resto è la stessa situazione che si verificava quando giocavo io: Verona è l’ambiente ideale per chi vuole lanciarsi e per chi cerca riscatto. Tanti giocatori si sono rivalutati”.

Nella sua carriera ha incrociato un altro fuoriclasse assoluto come Roberto Baggio. Trova qualche analogia con Zico?

“Entrambi fanno parte di quella categoria speciale di calciatori capace di fare la differenza in ogni occasione. Sono due persone diverse, ma al contempo grandi giocatori. Roberto era un ragazzo dalla battuta facile, ma riservato. Non lo conosco in maniera profonda dal punto di vista personale perché non l’ho frequentato tanto al di fuori del calcio: solitamente ci si vedeva per gli allenamenti e le partite”.

Dopo il Verona è passato alla Juventus. Qual è il suo ricordo dell’esperienza in bianconero?

“In campionato faticavamo, anche perché davanti a noi c’erano squadre più attrezzate come Napoli, Milan e Inter. Ho cambiato quattro allenatori in cinque anni. C’era troppa alternanza. Nell’unico anno tranquillo abbiamo vinto con Zoff. Poi anche lui è stato sostituito inspiegabilmente”.

Dunque, secondo lei, la grande rivoluzione operata dalla Juventus nell’estate 1994 poteva essere anticipata di qualche anno?

“Secondo me sì. C’era un blocco di giocatori già validi e formati e a questi si potevano raggiungere dei ritocchi per crescere ulteriormente e rimanere in alto. D’altronde negli anni successivi i risultati sono peggiorati. Purtroppo non sono stati fatti i giusti innesti, anche se avevamo raggiunto due finali”.

Come si spiega questa attitudine per le gare a eliminazione diretta?

“Abbiamo puntato maggiormente alle coppe perché in campionato c’era chi era più attrezzato di noi. È un altro tipo di competizione. Non è più semplice perché, quando arrivi in finale, hai il 50% di possibilità di vincere, soprattutto se si tratta di certe partite. Ne ho vinte due, perdendone altrettante. Il mio rammarico più grosso nei tornei a eliminazione diretta è la semifinale con l’Argentina al Mondiale 1990”.

Cosa le rimane di quel Mondiale vissuto da protagonisti?

“Avevamo anche l’obbligo di provare a vincerlo, giocando in casa. Il pubblico ci faceva volare. Purtroppo contano anche gli episodi. Abbiamo pagato più del dovuto contro l’Argentina. Avremmo meritato la finale. Non so quante volte sia accaduto che una squadra, capace di vincere sei partite su sette e di subire solamente due gol in tutto il torneo, non abbia poi conquistato la vittoria finale…”.

Se ne avesse la possibilità, rigiocherebbe Italia-Argentina?

“Certo, ma ovviamente non è possibile. Lo sport va accettato per ciò che dà”.

Prima ha nominato in due occasioni Dino Zoff. È lui l’allenatore con cui si è trovato meglio in carriera?

“Mi sono trovato bene con tutti gli allenatori, ma Zoff e Bagnoli sono quelli che mi hanno fatto render di più. Mi trovavo particolarmente a mio agio nella loro sistemazione in campo”.

Da piccolo ha avuto un idolo o una squadra del cuore?

“Tifavo Milan e ammiravo tanto Gianni Rivera. Poi, quando sono diventato un professionista, non ho più tifato per nessuna squadra. Dopo si sostiene la propria squadra. Ho cambiato tante formazioni e ho sempre dato il massimo”.

E ora di cosa si occupa? Quali sono i suoi progetti?

“Abbiamo fondato la De Agostini Academy in Friuli. I miei figli Michele, che gioca nel Pordenone, e Sofia mi stanno aiutando in questa attività. Abbiamo allestito una scuola calcio. Vedremo in futuro se ci sarà spazio anche per altri sport. Stiamo costruendo il nostro impianto con campo di calcio in sintetico, che si chiamerà Credi Friuli Arena, e spogliatoi. Poi vorremmo aprire anche un locale da dedicare a incontri con ospiti importanti. Attualmente abbiamo bambini dai 5 agli 8 anni. Noi vorremmo occuparci esclusivamente della scuola calcio, incentrandola su un discorso ludico di inizio attività, senza pensare di costruire il campione del futuro. Vogliamo trasferire le nostre conoscenze ai bambini, insegnando loro a divertirsi”.

Quando ha pensato a questa attività?

“Siamo partiti due anni fa. Ora stiamo costruendo l’impianto. Speriamo che entro l’estate sia pronto. Eravamo in affitto presso un’altra struttura. Poi abbiamo deciso di fare qualcosa di nostro, ma a causa del Coronavirus siamo fermi. Prima di questa avventura ho avuto esperienze simili con altre società per 10 anni. Erano legate al discorso estivo, per famiglie che intendevano unire la vacanza e il calcio. Abbiamo collaborato per anni con una società di Udine che ha gestito per anni l'immagine del Milan e poi del Real Madrid e siamo andati anche all’estero. Poi ho portato la Juventus Academy per un anno a Tricesimo”.

Se potesse tornare a giocare, in quale squadra vorrebbe essere?

“La squadra che mi colpisce maggiormente è l’Atalanta. Gioca sempre nello stesso modo, in casa e fuori. Anche se alla fine è importante vincere… In generale ho buoni rapporti con tutti i tifosi delle squadre in cui ho giocato. L’unica società che mi ha davvero gratificato è stata la Juventus. Con i bianconeri ho mantenuto un rapporto speciale”.

E come valuta questa stagione con Maurizio Sarri?

“È un po’ difficoltoso l’adattamento alla sua filosofia. La Juve alterna ottime partite con altre meno buone. Eppure, nonostante tutto, è in lotta su tutti e tre i fronti. Penso che abbia ottimi margini di miglioramento e, se la stagione dovesse riprendere, avrebbe ottime chance in ogni competizione. Ovviamente dipende tutto dall’emergenza Coronavirus”.

Ultima domanda: cosa la rende particolarmente orgoglioso della sua carriera?

“È stato un percorso bello. Ho realizzato il mio sogno da bambino. Sono arrivato anche in Nazionale. Ho fatto più di quello che mi sarei immaginato. Non so cosa avrei potuto chiedere di più”.