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Domizzi a ISP: “Rigiocherei la semifinale di Coppa Italia. Che allenamenti con Di Natale e Sanchez!”

Maurizio Domizzi, Udinese (Getty Images)

L'ex difensore si è raccontato ai nostri microfoni

Redazione ITASportPress

"Di Federico Mariani

"Negli ultimi tre anni gli appassionati di calcio hanno imparato ad apprezzare la meravigliosa irruenza dell’Atalanta. Un uno contro uno a tutto campo, vissuto con velocità e geometrie esasperate. Prima dei nerazzurri, però, c’è stata un’altra squadra di provincia capace di stupire l’Italia con un gioco efficace e divertente: l’Udinese di Francesco Guidolin. Tra il 2012 e il 2013 i bianconeri hanno realizzato un vero e proprio capolavoro conquistando la qualificazione ai preliminari di Champions League, ottenendo anche un prestigioso pass per l’Europa League un anno più tardi. Per realizzare una simile impresa servivano esperti in materia di miracoli sportivi. Se, in attacco, Antonio Di Natale e Alexis Sanchez facevano esultare i tifosi friulani, in difesa Maurizio Domizzi cancellava gli assalti avversari. L’allora centrale difensivo ha messo a disposizione della squadra un bagaglio tecnico notevole, affinato tra la Lazio di Cragnotti e le rinascite di Sampdoria e Napoli. Da un anno Domizzi ha appeso gli scarpini al chiodo, ma continua a trasmettere alle nuove generazioni la sua notevole esperienza, come ha raccontato in esclusiva a Itasportpress.

"Maurizio, come stai? In che modo hai trascorso quest’ultimo periodo?

"“Fortunatamente bene. Sono a casa da diverso tempo. Si inizia a essere stanchi di questa situazione. Nel momento in cui qualcosa ripartirà, sarà comunque ben lontano dalla normalità. Chi ha vissuto sempre di calcio soffre particolarmente, dato che ora non ci sono le partite. E poi in questo periodo abbiamo continuato ad allenare i ragazzi dell’Under 17 della Reggiana, per quanto possibile ovviamente”.

"Come hai gestito il rapporto con i ragazzi da te allenati?

"“Dal momento in cui ci siamo fermati, non è stato semplice riuscire ad avere la possibilità di comunicare con loro. Sicuramente sarà complicato riprendere da qui a settembre. Credo che si andrà a scalare: prima toccherà ai professionisti e poi ai settori giovanili. In ogni caso ci atterremo alle linee guida imposte dall’alto”.

"Quando hai deciso di diventare allenatore?

"“Da subito. Quando ho smesso di giocare, avevo già quell’obiettivo. Ho fatto il corso a Coverciano. Avevo le idee chiare fin da subito. Avrei dovuto fare anche il corso per il patentino Uefa, ma adesso è tutto fermo. Non si sa se si svolgerà o meno a settembre. È difficile davvero difficile programmare tutto in questo momento. Noi tecnici non sappiamo se avremo deroghe particolari”.

"Dal tuo punto di vista sarebbe possibile far ripartire il calcio italiano nelle prossime settimane?

"“È complicatissimo e semplicissimo al tempo stesso. Sarebbe opportuno terminare i campionati in sicurezza. È palese che, nonostante si rinvii il problema, non è fattibile per tutte le categorie. Da tantissimi anni i nostri campionati sono gestiti con interessi, contributi e fiscalizzazioni diverse. È sbagliato parlare al plurale sapendo che Serie A, B e C sono tre competizioni completamente indipendenti e diverse. Non hanno le stesse problematiche. Riprendere sarebbe bellissimo per tutti, anche per i tifosi, ma bisogna tenere presenti le difficoltà organizzative”.

"Rispetto a quando hai iniziato la tua carriera da professionista, il calcio è cambiato moltissimo. Come valuti questa trasformazione?

"“In generale si è cercato di uniformare tutte le correnti tattiche europee. Prima ogni paese aveva una sua filosofia. Adesso ci sono quei modelli particolari e ognuno cerca di copiarli. È un cambiamento anche in senso positivo: ora in generale c’è più coraggio. In Italia ci siamo un po’ europeizzati, giocando con più spregiudicatezza. In Europa, invece, chi ci ha sempre dato contro per l’impiego della difesa a tre, ora, tende a utilizzarla frequentemente”.

"Hai esordito nel 1998 con la Lazio di Sergio Cragnotti, una squadra entrata nella storia per l’incredibile scudetto conquistato due anni dopo. Secondo te, quando sei entrato nello spogliatoio biancoceleste, si era intuito che quel gruppo potesse realizzare una simile impresa?

"“Nell’anno dello scudetto ero a Livorno. Ho vissuto le due stagioni precedenti, trascorse all’insegna della costruzione del gruppo vincente. Vedere la Lazio vincere è stato straordinario. Era una squadra che ogni anno aggiungeva sette o otto giocatori di livello. Credo che abbia vinto persino poco in Italia per il valore della rosa. In Europa si è tolta grandi soddisfazioni conquistando la Coppa delle Coppe e la Supercoppa europea a dimostrazione della validità di quel gruppo”.

"Hai avuto l’opportunità di allenarti da giovanissimo con grandi campioni come Alessandro Nesta. Quali erano le tue sensazioni?

"“Ricordo con piacere e soddisfazione tutti gli aspetti di quell’esperienza. Condividere gli allenamenti con quei campioni è stato incredibile. Cragnotti era un imprenditore a livello mondiale e ha costruito una squadra fantastica ogni anno. Quello che è successo a me è un’esperienza concessa a pochissimi. Fortunatamente c’era un nucleo italiano molto forte con Nesta, Pancaro, Favalli e prima anche Signori. È stato un privilegio perché confrontarsi con ragazzi con questa mentalità è un vantaggio, a maggior ragione se fatto nella stessa lingua”.

"Prima hai detto che la Lazio avrebbe potuto vincere di più. Ti riferisci principalmente alla stagione precedente lo scudetto, con la rimonta subita dal Milan, o al 2001, con un recupero straordinario dopo una partenza steccata?

"“Parlo di entrambi: nell’anno precedente si capiva che la Lazio poteva competere su alti livelli. Avrebbe potuto aprire un ciclo di tre o quattro anni vincenti. Poi non è facile dire se sarebbe stata in grado di conquistare altrettanti scudetti. Anche in Champions non è mai riuscita a esprimere il suo reale potenziale. E pensare che gli investimenti erano da Manchester City o Paris Saint-Germain dei giorni nostri”.

"Oltre alla Lazio, hai militato anche in altre due grandi, che in quel momento erano decadute: Sampdoria e Napoli.

"“Ho avuto la fortuna di vincere tre campionati in Serie B. A Genova era stata cambiata la società, riportammo la Sampdoria in alto. Garrone era una persona di un’altra epoca. Fu speciale vedere una squadra così blasonata tornare nella massima categoria. A Napoli c’era stato un fallimento. I ragazzi che era presenti dalla rifondazione mi raccontavano di essere partiti dalle ceneri. Abbiamo costruito tanto e siamo riusciti a creare un percorso importante. Nell’anno della salita in A c’erano anche top club come Juventus e Genoa. Noi arrivammo all’ultima giornata con un punto in più del Grifone, contro cui giocavamo la partita cruciale. Pareggiammo e in questo modo non si disputarono i playoff. Fu un’unicità per come abbiamo conquistato la Serie A. Tra l'altro per me fu speciale perché arrivò nello stadio in cui avevo vissuto momenti speciali con la Sampdoria. E poi ho vissuto anche la promozione del Modena che non faceva la Serie A da diverso tempo, anche se poi non sono rimasto nella massima categoria”.

"Poi l’Udinese. Quando sei arrivato in Friuli ti saresti mai aspettato di riscrivere la storia della società della famiglia Pozzo?

"“Si capiva che era una squadra con un potenziale tecnico enorme. Logicamente all’inizio eravamo gli stessi ma con tre o quattro anni in meno in termini di esperienza. Siamo riusciti con un gruppo così giovane a tenere quel livello per quattro stagioni consecutive. Battemmo tutti i record della storia dell’Udinese. Siamo stati straordinari a ottenere simili risultati per tanti anni di fila, nonostante le cessioni illustri”.

"Sicuramente per un difensore come te non dev’essere stato complicato preparare le partite dopo aver affrontato campioni come Di Natale e Sanchez per tutta la settimana.

"“Assolutamente, allenarsi con loro era impegnativo, ma anche bello soprattutto perché erano compagni e almeno non dovevo ritrovarmeli contro in partita (ride ndr.). Di Natale e Sanchez sono stati i due attaccanti più forti con cui ho giocato insieme a Lavezzi”.

"Com’era la convivenza in quel gruppo così speciale?

"“Era tutto bello e particolare. Si era formato un gruppetto molto solido composto da cinque giocatori, tra cui anche Andrea Coda e Giovanni Pasquale. Era diventato un rapporto che è andato oltre il campo perché c’era una forte amicizia”.

"Se ne avessi l’opportunità, ti piacerebbe rigiocare una partita, magari per cambiarne il risultato finale?

"“L’unico vero rammarico della mia carriera è la semifinale di Coppa Italia contro la Fiorentina nel 2013/14. Vincemmo 2-1 in casa, ma perdemmo a Firenze per 2-0. Colpimmo anche un legno nel match di ritorno che avrebbe potuto far girare l’incontro a nostro favore. Insomma una gara andata male. Mi è rimasto il gusto amaro di aver perso la possibilità di giocare una finale portando un’intera città come Udine a lottare per un titolo. Le sconfitte ai preliminari di Champions non mi avevano fatto così male, anche perché ci poteva stare un risultato negativo. In Uefa il cammino è lungo e non è semplice non accusare giornate difficili. Certo, fa male anche il ricordo dell’eliminazione contro il Werder Brema nel 2009, ma non lo paragonerei alla semifinale contro la Fiorentina”.

"Guardando all’attualità, in quale squadra ti piacerebbe giocare per sistema di gioco o filosofia calcistica?

"“Sono molto incuriosito dal modo di allenare di Gasperini e di Juric all’Atalanta e al Verona. Li ho affrontati da avversario, ma il loro sistema di gioco mi ha colpito molto. Sarebbe interessante sperimentare le loro idee sul campo”.

"A proposito di Gasperini, l’Atalanta sembra aver seguito la strada dell’Udinese nel ruolo di outsider, diventando una presenza stabile nelle posizioni di vertice. È un paragone legittimo o ci sono differenze tra i due casi?

"“Credo sia un paragone legittimo, almeno per come sono nati i due percorsi. Entrambi i club sono stati grandi rivelazioni. Poi però le società, per scelta e non per casualità, hanno cambiato strada: l’Udinese ha proseguito su quel modello che l’ha resa famosa, lanciando giovani talenti. L’Atalanta, invece, è riuscita ad alzare il tiro. Ha comprato giocatori pronti e questo le ha permesso di mantenere il suo livello, arrivando anche a migliorare. Bisogna dire che sono cambiati anche i nerazzurri: non sono più la squadra giovane vista qualche anno fa. Ora la Dea è un club attrezzato per stare in alto”.

"A Udine hai trovato due attuali protagonisti del ciclo atalantino: Duvan Zapata e Luis Muriel. Ti aspettavi che fossero così validi quando li hai avuti come compagni di squadra?

"“Sì. La differenza tra Duvan Zapata e Muriel sta nella precocità con cui si mette in evidenza il proprio talento. Muriel ha mostrato il suo potenziale molto prima di Duvan e più velocemente. In molti si aspettavano che sarebbe cresciuto ancora, ma non tutti sono destinati a migliorare ulteriormente. A volte si raggiunge il massimo già a 25 anni. Zapata, invece, andava semplicemente ‘rifinito’, aveva bisogno di più tempo per emergere. Non tutti i giocatori hanno la stessa storia”.

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