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Pozzi a ISP: “Il calcio ha realizzato quasi tutti i miei sogni. Per il pallone mi facevo buttare fuori dalla classe”

Pozzi, getty

L'ex attaccante di Milan, Sampdoria e Parma si racconta a Itasportpress

Redazione ITASportPress

Nicola Pozzi è probabilmente uno degli attaccanti più rimpianti dal calcio italiano. Falcidiato dagli infortuni e costretto ad un prematuro allontanamento dai palcoscenici importanti, l'attaccante che in Italia ha vestito maglie come quelle di Milan, Napoli, Sampdoria e Parma ha raccontato il suo viaggio nel calcio dei professionisti e i suoi pensieri riguardo all'attuale mondo del pallone.

Nicola, i tanti infortuni che hai subito in carriera ti hanno bloccato la carriera?

"Sicuramente me l'hanno limitata, il calcio di oggi dimostra quando l'integrità fisica sia importante. Ho fatto 7 operazioni e ho avuto tanti problemi, però sono riuscito a realizzare una buona parte dei sogni che avevo da bambino".

Un viaggio partito da Cesena che ti ha portato in piazze importanti. A quali club sei rimasto più legato?

"Sono partito da Cesena, poi il Milan mi prese da ragazzino e mi ha mandato in giro a farmi le ossa. Ricordo sempre con piacere i 4 anni passati ad Empoli, così come i tanti momenti trascorsi con la maglia della Sampdoria".

Il tuo rimpianto più grande?

"Ho attraversato diversi momenti di dolori, il fisico mi ha portato delle problematiche. Quella è stata la variante che non mi ha permesso di dare il contributo che volevo in tutte le esperienze, ma ho sempre dato il massimo, avrei voluto avere responsabilità più grandi ma non è stato possibile".

Eri uno degli attaccanti che ai nastri di partenza di ogni stagione sembrava giunto all'anno buono. Come vivevi quelle aspettative?

"Mi nutrivo di responsabilità, me le sono sempre prese, soprattutto negli anni importanti alla Sampdoria. Mi piaceva stare in prima fila, la cosa più bella per un calciatore è prendersi le responsabilità e di conseguenza raccogliere applausi e fischi".

Il giocatore più forte che hai incontrato?

"Assolutamente Paolo Maldini, ci ho giocato al Milan e siamo stati compagni di stanza. Era impossibile saltarlo, sia in allenamento che in partita. Ma quella era una squadra piena di campioni, penso ai vari Kakà, Crespo e Rui Costa. A Genova invece ho giocato con Cassano, un grande campione che non aveva niente da invidiare a nessuno".

Chi è il 9 più forte in Serie A?

"Lukaku, senza dubbi".

Se non avessi fatto il calciatore che mestiere ti sarebbe piaciuto fare?

"Ammetto di non averci mai pensato, non vedevo niente oltre al calcio, ero malato. Ricordo che a scuola mi facevo buttare fuori dalla classe per andare in palestra a giocare a pallone, il pomeriggio andavo ad allenarmi e la sera spaccavo la casa con il pallone".

Quali sono stati il tuo momento più bello e il più brutto?

"Il più brutto è stato dopo il secondo grave infortunio al ginocchio, quando tornai in campo mi sono accorto che non ero lo stesso. È stato lì che ho capito che la mia carriera aveva imboccato la fase declinante che mi avrebbe portato verso il ritiro. Di momenti più belli ne ho due: essere andato in Coppa Uefa con l'Empoli prima di andare via e il raggiungimento della Champions con la Sampdoria".

Chi è l'allenatore dal quale hai appreso maggiormente?

"Ancelotti, nessuno ha le sue capacità di gestione dei calciatori. Poi è un vincente, tranne qualche piccola parentesi non ha mai fallito".

E invece di questo strano campionato cosa pensi?

"Il Sassuolo è una bellissima conferma che cresce, sta dando continuità al lavoro pluriennale con De Zerbi, sta ripercorrendo quanto fatto dall'Atalanta. È una squadra che sono curioso di vedere da qui alla fine della stagione. Il Napoli è un'altra squadra importante, credo che lotterà fino alla fine, starà lì. Il Milan continuerà a far bene fino a quando non sentirà il peso di dover vincere il campionato, poi arriverà il vero banco di prova. Quando l'opinione pubblica inizierà a chiedere ai rossoneri lo scudetto bisognerà vedere la reazione della squadra".

di Vincenzo Pennisi

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