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Sassuolo, Defrel: “Mangiavo di tutto. Razzismo? Mi fanno il verso della scimmia…”

"Chiellini è il difensore più duro che ho affrontato, molto tosto"

Redazione ITASportPress

Il possibile addio a gennaio, l'infortunio e il ritorno al goal con la doppietta decisiva contro l'Udinese. Grégoire Defrel si racconta in una lunga intervista rilasciata a La Repubblica. Ecco quanto dichiarato dall'attaccante francese del Sassuolo:

PISTOLE -"È un’esultanza inventata dai miei amici di Parigi, che vengono spesso a trovarmi. Sono figlio unico, i miei fratelli sono loro: giochiamo al far west. La faccio meno spesso da quando sono stato criticato, dicono che non sarei di buon esempio per i bambini".

INFANZIA -"Sono nato a Meudon, ovest di Parigi. Il 92 sulla mia maglia è il numero del dipartimento di Hauts-de-Seine. Mia madre Claire è bretone, lavora in una casa di riposo. Mio padre Alain è nato in Martinica, arrivò in Bretagna come brancardier, portantino. Insieme decisero di trasferirsi a Parigi, in una zona multietnica a prevalenza musulmana. Io sono cristiano, con la mia famiglia andavo sempre a messa. Sono cresciuto fra bambini di religioni diverse, senza problemi di convivenza".

RIVOLTA -"Nel 2005 ero piccolo, c'erano a casa i miei cugini dalla Bretagna, volevamo andare in giro. Mia madre ci fermò, scostò la tenda e ci disse di guardare fuori dalla finestra: macchine e cassonetti in fiamme, scontri, sirene spiegate. Però la mia infanzia è stata serena, con i miei genitori sempre addosso. Alcuni amici di allora sono in galera. Sono fortunato, mi piace essere una speranza per i ragazzi della mia città".

INIZI -"Ho imparato in strada a Chatillon, su un campo di sabbia a due minuti da casa. Facevo il campionato dei quartieri, due allenamenti e una partita alla settimana. Il mio amico Doukara, che ha giocato in Italia e ora è al Leeds, parlò di me al suo procuratore Malick Ba. Malick oggi non c'è più, è stato il mio primo agente. Mi propose un provino in Italia con altri cinque ragazzi, ma io non volevo andarci: a casa mi sentivo già un campione, avevo tutto. Mi convinse mio padre. Presi una borsa e poche cose, dissi a tutti che sarei tornato dopo tre giorni, ne ero convinto...".

ITALIA -"Il Monza, in Lega Pro, prese Chemali e mi scartò. Il Parma neanche voleva farmi fare il provino. Pesavo 85 chili, ero impresentabile. Giocai una partitella d'estate con 40 gradi, dopo cinque minuti chiesi il cambio, ero scoppiato. Ma il responsabile del vivaio, Francesco Palmieri, che poi avrei ritrovato qui al Sassuolo, aveva notato un paio di giocate nell'uno contro uno: mi chiese di restare e ovviamente mi mise a dieta. Intanto i compagni mi prestavano i vestiti, non parlavo una parola d'italiano, non avevo il computer, niente, aspettavo che mio padre mi portasse una valigia. Il primo anno guadagnavo 250 euro al mese più vitto e alloggio. Il secondo, 800, e alla fine Colomba mi fece debuttare in A, a Cagliari".

FOGGIA -"Ero lì in prestito, una volta ricordo che non arrivavano gli stipendi e la piazza contestava. Volevo tornare a casa, non era la vita che volevo. Però ho tenuto duro e arrivò il Cesena. Il Sassuolo, poi, è stata la migliore scelta che potessi fare".

PESO -"Non era colpa mia, ero abituato a mangiare di tutto dopo gli allenamenti, nessuno mi aveva insegnato l'importanza dell’alimentazione per un calciatore. Un giorno, a Cesena, Bisoli, che aveva capito tutto, mi chiese: 'Defrel, cosa mangi di solito?'. E io: 'Tortelli, pollo al curry, salse'. Lo spogliatoio scoppiò a ridere. Da allora, pasta in bianco e bresaola".

CHIELLINI -"E' il difensore più duro che ho affrontato, molto tosto".

IDOLO -"Trezeguet, anche se ho un ruolo diverso: sono una seconda punta".

RAZZISMO -"Nessun episodio sul campo no. I tifosi avversari ogni tanto mi fanno il verso della scimmia. Ma io non ci bado, non meritano la minima attenzione".

PARIGI -"Quando non gioco, se posso, vado a prendere un gelato sugli Champs-Élysées. È bello passeggiare fra la folla senza essere riconosciuti".

L'intervista completa in edicola con "La Repubblica".