CALCIO

Pulvirenti, ex Presidente del Catania: “Il mio reato si chiama coglionaggine”

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Intervista a tutto campo all'ex Presidente del Catania Nino Pulvirenti
Redazione ITASportPress

In un'intervista fiume rilasciata ai microfoni di Telecolor Nino Pulvirenti, Presidente del Catania negli anni d'oro della serie A, dal 2004 fino al 2015 e uno degli imprenditori più conosciuti nell'ambito calcistico siciliano e non solo, ricostruisce gli undici anni di storia della sua Presidenza rossazzurra in uno con la storia della sua formidabile e controversa vita imprenditoriale. Comprese le scene da retro palazzo riguardanti la compravendita di partite, sulla quale chiosa nel finale: "Il mio reato è la coglionaggine". Ammissione bella e buona, anche se nel citare nomi e fatti ben precisi ammette tutte le sue colpe con l'attenuante di essere stato, alla fine dei conti, truffato dal truffatore. E mentre c'è chi ancora riveste ruoli dirigenziali nonostante il passato "burrascoso", il Presidente ha scontato la sua squalifica, ma si è un po' raffreddato: "Oggi non ho più l'adrenalina per poter, quand'anche si desse l'occasione, rientrare nel mondo del calcio".

In verità il Presidente si inalbera se lo si accusa di essersi venduto le partite: "Casomai le ho comprate! "- dichiara candidamente. E come si scoprì tutta l'architettura di questa vicenda ? Semplice: Pulvirenti subisce un'intimidazione, che lui denuncia. Gli viene quindi messo il telefono sotto controllo e da lì si scopre che c'é in atto un sistema di combine collaudato (ma neanche tanto...), che alla fine avrà del surreale (oltre che dell'illecito). Così racconta Pulvirenti: "In un determinato momento fui vittima del successo, quello che ti porta in una dimensione particolare, ti fa perdere di vista i valori che hai sempre rispettato. Però quando sei inebriato, puoi sbagliare, e io ho sbagliato a pensare una certa cosa e a trovarmi vicino una persona che mi ha assecondato nel pensare di fare una certa cosa, cioè comprare le partite". Ammette i suoi errori il Presidente, e non se ne vergogna. "Ma in quelle occasioni io ebbi un unico interlocutore, Daniele Delli Carri  (direttore sportivo del Catania) - poi arrestato nel 2015 insieme a Pulvirenti per frode in competizioni sportive e truffa. "Io pago e non succede niente - continua l'ex Presidente rossazzurro - comincio ad avere dei dubbi, poi acclarati dalle intercettazioni "parziali" venute fuori, dalle quali si evinse perfettamente che alla fine fui truffato". Insomma, Pulvirenti caccia i soldi, ma i giocatori vengono per fortuna tenuti estranei alle combine e alla fine le partite in campo hanno il loro normale corso e chi si becca i soldi è l'intermediario. Situazione quanto mai bizzarra. Anche perché alla fine per questa "pazza" idea del Presidente, come da lui ammesso, ha pagato il Catania.


Ad un certo punto il calcio a Catania ha rischiato di scomparire. ma nel momento in cui gliene addossano le colpe Pulvirenti rigetta amabilmente: "Mi dispiace, ma di questo non ho colpa". Ma allora perché il patrimonio immobiliare del Catania ed il parco giocatori del valore di oltre 300 milioni di euro si è volatilizzato ? Risponde Pulvirenti: "Il Catania con Finaria - la holding da lui creata nel 1996 per controllare le sue attività imprenditoriali avendo in lui il suo azionista di riferimento - non sarebbe mai fallito, e questo nonostante tutte le difficoltà legate al gruppo imprenditoriale in 5 anni di serie C, tra punti di penalizzazione e play-off eccetera. Succede che il Tribunale di Catania a un certo punto decide di fare fallire Finaria, la quale appunto fallisce. Il Catania viene ceduto alla Sigi con apposito bando, poi Finaria presenta appello sul fallimento che viene poi revocato." Questa in soldoni la storia "solo che nel frattempo il Catania calcio era nelle mani di S.i.g.i. Ognuno faccia le proprie considerazioni" - conclude Pulvirenti. "Bisogna comunque fare un plauso alla Sigi perché gli uomini che la gestivano hanno affrontato qualcosa più grande di loro. Io che conoscevo i retroscena, e sapevo fare calcio, sapevo bene che l'azionariato popolare nel calcio non può esistere, é come il diavolo e l'acquasanta". 

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